Quando ho letto il libro The China Study ne sono rimasta molto colpita, tanto che ho chiesto anche ai miei famigliari di leggerlo perché non potevano ignorare quello che c’era scritto, né tanto meno potevo essere io a spiegarglielo.
Figlia di una madre morta prematuramente per un tumore al seno, con quattro cugine colpite anche loro dallo stesso male, ma fortunatamente con un decorso decisamente migliore, sentivo la genetica incombere sul mio destino.
“Come può una persona come me,” ho pensato, “che quando si presenta ad una visita di prevenzione deve rispondere alle domande relative alla “familiarità” delle malattie, restare indifferente a tutto questo?”
Ormai sapevo e non era più possibile tornare indietro.
Potevo far finta di niente, archiviare tutto con la scusa che tanto non sarebbe servito a nulla e che, oltretutto, cambiare alimentazione sarebbe stata una strada assolutamente impraticabile?
Oh sì, certo che avrei potuto farlo, ma perché? Perché? Per paura di non mangiare più con la stessa soddisfazione di prima?
Era invece una grande opportunità: partecipare in prima persona al conseguimento e al mantenimento della mia buona salute! Vi sembra poco?
Nessuno mi chiedeva di comprare il suo prodotto, nessuna terza persona tra me e il mio obiettivo, ma solo cambiare il modo di fare la spesa e modificare alcune abitudini. Dovevo provare.
E così, molto, ma molto timidamente, ho iniziato…non senza difficoltà, lo ammetto, perché superare certe forme mentali radicate dentro di noi è il vero ostacolo, ma che una volta oltrepassato, fidatevi, appare davvero irrilevante.
Io non lo so cosa mi accadrà e sono consapevole che non esiste alcun tipo di certezza rispetto allo sviluppo o non-sviluppo di qualsiasi malattia, ma so anche che questo è l’unico mezzo a mia disposizione per aiutare il mio organismo ad affrontare la lotta quotidiana per il suo buon funzionamento.
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Ripensare la scienza della nutrizione
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